Capitolo uno

Marzo si era rivelato più pazzo del solito. Non c’era giorno nel quale il meteo non avesse deciso di rendere difficile la vita dei ripostesi che, nemmeno fossero a Londra, non sapevano mai con esattezza cosa li avrebbe aspettati: se sarebbe stato il caso di uscire con ombrello e impermeabile o in maniche di camicia. Il freddo umido si alternava a grandi sprazzi di sole e caldo, addirittura erano svolazzati in cielo alcuni fiocchi di neve, cosa rarissima per il paesino e per le località siciliane che si affacciavano sul mare.

Gli stoici abitanti non si erano però fatti smontare dalle avversità del clima e avevano continuato le loro attività, in primis la pesca. Era infatti su quella che il piccolo comune basava l’economia, proprio sulle attività dei pescatori era stata fondata Riposto che agli albori della sua storia altro non era che lo scalo commerciale della vicina Mascali: il luogo nel quale si facevano gli affari, una sorta di cantina, o meglio, ripostiglio – da qui il nome -, nel quale veniva scambiato, acquistato e conservato ciò che dava prosperità. Questo lo sapevano bene pirati e corsari musulmani che puntualmente dirigevano le loro scorribande verso quel piccolo lembo di terra sul mar Ionio. Con il tempo i fieri pescatori erano riusciti a controbattere le invasioni e si erano insidiati cominciando a fabbricare le loro abitazioni, rendendo sempre più forte e autonomo il paese fino a farlo diventare uno dei principali centri ittici dell’isola.

Quella mattina la maestra aveva giusto finito di spiegare un po’ di storia dei luoghi nei quali i bambini erano nati. Alcuni l’avevano ascoltata con grande attenzione prendendo appunti e facendo disegni, altri, soprattutto quelli in fondo all’aula, se ne stavano con la testa poggiata sul palmo della mano sorretto dal gomito, facendo il possibile per non addormentarsi.

Splendeva un bel sole e le incertezze meteorologiche sembravano definitivamente trascorse. Si respirava un’aria fresca e teporosa al tempo stesso, era il clima perfetto, lontano dalle asperità dell’inverno come dalla canicola insopportabile che da lì a poco sarebbe giunta a ghermire tutto il sud Italia.

Vista la temperatura i finestroni della classe erano schiusi e un raggio di quel sole tanto piacevole andava a carezzare il volto di un bambino che dava un’impressione diversa rispetto ai suoi compagni.

Avvicinandosi alla sua figura si sarebbe notato che non sembrava attento alle parole della maestra ma nemmeno svagato e incline alla noia, semplicemente il suo sguardo era altrove. I grandi occhi castani sembravano essersi incantati a contemplare il pezzo di cielo che si scorgeva sopra le folte cime degli alberi piantati nel giardino della scuola.

Il cielo e anche la tavolozza del mare che si intravedeva da lì, compagna perenne della vita di tutti i ripostesi. Un amico nel quale potersi rispecchiare, un confidente che sapeva offrire protezione. Tutti sentivano fin nel profondo delle loro anime che quella presenza primordiale rappresentava una sorta di ventre materno, e il solo fatto di averlo a disposizione e poterlo ammirare in qualsiasi momento faceva stare bene.

Il cielo, il mare, gli uccelli che sfrecciavano nell’azzurro del mattino, il profumo delle zagare che il vento tiepido portava con sé, quello del panificio che aveva appena sformato prelibatezze come le enormi brioches che andavano riempite di quella granita soffice come panna, le sirene delle imbarcazioni che tornavano dalla pesca, il cigolare delle biciclette e dei carretti trainati da cavalli che ogni tanto nitrivano come a dare il benvenuto alla bella stagione, le voci dei piccoli nell’asilo a pochi passi, il cicaleccio delle maestre che li accudivano.

Il bambino dai grandi occhi castani sembrava perso in tutte quelle sensazioni, ogni cellula del suo corpo era piena di immagini, profumi e suoni, e dovette fare un grande sforzo per tornare in sé prima che la maestra lo riprendesse, come capitava spesso.

Francesco infatti, questo era il nome del bambino, era incline a un vagare tra le emozioni che lo trasportavano in altri mondi. Quando gli capitava era come se si staccasse dal corpo e cominciasse a viaggiare nell’aria, si trasformava egli stesso in aria, si fondeva con gli aromi, i colori, l’energia vitale che lo circondava.

Francesco aveva da pochi giorni compiuto otto anni, oramai si sentiva un uomo e un po’ gli spiaceva indugiare così spesso nel mondo dei sogni. Sentiva che in questo modo metteva come una distanza tra sé e chi lo circondava. Magari era un privilegiato nel potere avere la capacità di sondare altre dimensioni ma ciò lo rendeva anche diverso dagli altri bambini e dagli adulti. Non aveva mai conosciuto nessuno che, al suo pari, sapesse andare al di là delle cose di tutti i giorni, riuscisse a guardare oltre.

Del resto non aveva nemmeno mai provato a spiegare a nessuno i suoi stati d’animo, semplicemente li teneva per sé, sapeva benissimo che era un attimo a essere preso in giro e venire definito una testa vuota, o peggio, un matto. Ma lui matto non era per nulla, anzi gli sembrava di avere la capacità di esplorare più nel profondo le cose. Non solo il paesaggio che lo circondava, a volte gli capitava di osservare il viso, le mani e i gesti di una persona e capire se era buona o cattiva, se poteva fidarsi o meno.

Forse però a otto anni quelle fantasticherie era meglio lasciarle da parte, erano cose da bambini. Oppure no, magari erano caratteristiche dei grandi più intelligenti. Chissà. Stava di fatto che il tornare tra i suoi compagni dopo la lunga contemplazione gli fece uscire fuori un malessere, che nemmeno lui seppe spiegare: una sottile nausea, un senso di spaesamento, di vertigini, di presenza e assenza allo stesso momento.

Fece quindi lo sforzo di concentrarsi sulla maestra e su quello che in quel momento stava dicendo, anche perché sembrava una cosa della massima importanza, nuova, mai fatta prima.

Una sfida, e a Francesco le sfide piacevano.

«Bene carusi, adesso…» – la sentì dire con la sua cadenza siciliana.

Era una donna di età indefinita, poteva essere molto giovane come prossima alla pensione, con una crocchia di capelli neri che se c’era una certa luce si scoprivano grigi. Una figura piccola e magra con un cardigan di lana verde, un viso ossuto e penetranti occhi azzurri.

La maestra era pacata e indulgente ma all’occorrenza non faceva mancare forti bacchettate sulle mani inflitte tramite una riga di legno. Francesco ricordava di essere stato violentemente riportato alla realtà da uno dei suoi tanti momenti di assenza proprio grazie all’improvviso dolore alle dita.

«…faremo un tema. Un tema un po’ diverso dal solito» – continuò la donna – «Non ci sarà un argomento, dovrete inventarlo voi».

I bambini la guardarono e poi si scambiarono occhiate interrogative. L’attenzione di Francesco venne catturata e si dimenticò per un attimo dell’altro mondo.

«Sì, dovrete scrivere quello che volete, quello che vi viene da dire, liberamente. Raccontate una vostra giornata, descrivete un amico o un parente, parlate di qualcosa che vi è successo, di quello che avete mangiato o di un bel gioco. Oppure dite semplicemente quello che pensate in questo momento. Dovete dare sfogo alla vostra fantasia».

I bambini non avevano mai visto così la loro maestra. Di solito era sempre serie e concentrata sulle materie che doveva insegnare, adesso invece sembrava un’altra persona, una che vuole spronarti a lasciare da parte i voti e le interrogazioni, che ti dava la possibilità di dire tutto ciò che ti passava per la testa. Da quello che Francesco ricordava nessuno aveva mai dato loro la possibilità di essere così liberi: in famiglia, a scuola, anche tra amici c’erano sempre regole ben precise da seguire. Regole che adesso sembravano decadute.

Nell’istante stesso in cui tutto questo andò a fissarsi nell’animo di Francesco egli seppe di non essere interessato a raccontare storie più o meno legate alla sua quotidianità, doveva essere un qualcosa che non aveva mai detto nessuno. Tutto stava a capire come farlo.

Prese dalla cartella il foglio protocollo, lo stese, riempì di inchiostro il calamaio sistemato su un foro del banco e vi intinse la penna. Poi rimase fermo diversi minuti, lo sguardo ancora verso la finestra, con il sole a brillare sul suo sguardo insondabile, i capelli neri con la frangia che gli copriva la fronte, la bocca dischiusa come a porgere a se stesso una questione.

Aveva un foglio intero a disposizione, avrebbe potuto riempirlo di tutto ciò che gli frullava in mente, raccontare i suoi viaggi nelle sensazioni, parlare di quanto fosse bello il cielo del primo mattino o quanto potente fosse il tramonto sul mare, con l’arancione, il rosso e il blu che degradavano in nero, parlare del particolare tono della voce di sua madre quando lo incitava a mangiare e a non correre sempre via a giocare, del profumo della brillantina di suo padre, dei discorsi e delle risatine delle sarte che avvertiva come una musica dolcissima.

C’erano un sacco di cose di cui avrebbe potuto parlare, ma al netto di tutto rimaneva fermo, senza scrivere nulla, incantato sulla cima degli alberi che si muovevano al debole vento marino. D’improvviso da dentro il suo essere cominciarono a venire a galla delle parole che andarono a formare una domanda. La domanda delle domande, quella che stava alla base di tutto ciò che il bambino provava da tempo, che forse era una cosa bella o forse no, forse lo caratterizzava come più in gamba di altri o forse più scemo.

Non lo sapeva, era solo certo che esisteva qualcosa su cui doveva indagare.

In quel momento seppe che non avrebbe riempito le pagine del protocollo, sarebbe bastata una riga per condensare quello che gli girava in testa, e poi chissà, magari la maestra avrebbe saputo fornirgli la risposta che tanto desiderava.

Francesco si mise dritto con la schiena, osservò per un attimo i suoi compagni che si davano da fare con le teste basse e altri con il retro della penna in bocca intenti a rimuginare. Poi prese un lungo respiro, intinse di nuovo il pennino nel calamaio e scrisse questa frase:

«Io, chi sono?»

3 commenti

  1. Complimenti vivissimi. La vita di Franco Battiato raccontata come fosse un romanzo o, meglio, un film.

    Cosa che in effetti è stata.

    Penna finissima e colta: quando esce il libro, voglio essere tra i primi a comprarlo; e consigliarlo caldamente ad altri.

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  2. Bellissimo Complimenti Fabio.  Quando nel lontano 1991 pubblicai per Artis Records la discografia în CD della BlaBla ( di proprieta’ della Ricordi) con tutti I primi Album di Franco Battiato  ( Fetus Pollution,Clic , Sulle corde di Aries, L’fEgutto prima delle sabbie, M. lle le gladiator, ect…..Juri Camisasca, Capsicum Red, Genco Puto ) ….periodo nel quale stavo pubblicando sempre in CD e LP, anche tutto il Catalogo CRAMPS del caro amico Gianni Sassi , mi diedero del ‘ folle’ . În effetti era una sana follia în quanto quel periodo del caro Franco divenne una pietra miliare della storia del Prog italiano. Io ero allora , anni ’70, come ora , un forte e convinto assertore con Opus Avantra ( 1* Album Introspezione) della rivoluzione musicale che era necessaria în quel periodo. FRANCO lo era come caparbio sperimentatore elettronico accogliendo con disinvoltura fischi e contestazioni plăteali nei concerti rock e non . Și rivolse piu’ tardi dagli anni ’80 ad un piu’ vasto e comunque sempre con grande stile con grande successo , ma non lascio’ mai l’interesse per la sperimentazione che fu alla base della sua geniale formazione. Un pensiero di grande affetto quando ci trovammo a suonare al Teatro Litico nell’autunno del ’93 în memoria di Gianni Sassi, altro carissimo amico comune di Vita artistica musicale . Con grande affeitto Alfredo Tisocco

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